Tortona è una città silenziosa.
Non che la stazione ferroviaria di una piccola cittadina, alle cinque e mezzo di un sabato pomeriggio (uno a caso, quello che volete voi), sia, per antonomasia, un luogo particolarmente rumoroso. Questo no. Nè, tantomeno, mi sarei aspettato di incontrare un Tralfamadoriano, sul binario. E infatti non è accaduto.
Ma il silenzio, quello c'era. O, meglio, trattandosi di un'assenza, di una negazione (di rumore, ndr), affermare la sua esistenza è forse erroneo. In ogni caso, tutto ciò era assolutamente percepibile.
Ho poi preso il treno, verso Genova. Ho sonnecchiato, durante il viaggio, lasciandomi cullare dal ritmico sobbalzare del convoglio, e dal pensiero dei recenti avvenimenti.
Giunto in stazione, le mie azioni hanno iniziato a susseguirsi secondo un rituale ben collaudato, scontato e familiare. Tutto sembrava come prima. La scala, il sottopassaggio, il biglietto, un sorriso alla signora dell'edicola, sempre scontrosa, come la ricordavo dagli anni dell'università. Sono stato tentato di uscire da Principe, verso via Balbi, verso il bar con la tenda rossa, la mia piccola casa del caffè. Non riuscivo a spiegarmi questo desiderio irrazionale. Anche se ne avevo ben chiara la motivazione profonda. Volevo controllare se il bar stava ancora lì, al suo posto. Non ho avuto tempo di farlo, ma l'ho desiderato.
Sono salito sul locale, verso casa, e io non lo sapevo, ma ho sorriso, tutto il tempo.
Non me l'ha detto un Tralfamadoriano. L'ho capito dopo.
Tutto sembra come prima.
Sembra, appunto.
Sorrido, ancora.
venerdì 29 febbraio 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento