mercoledì 24 dicembre 2008
Xmas
Con qualcuno, una sera di qualche settimana fa, si diceva che a 15 anni non ci credi quando ti dicono che l’età adulta porta con sé problematiche sconosciute. Ti pare che perdere la testa per un compagno di scuola sia davvero tutto, che non possa esistere sensazione più avvolgente di quella.
In effetti avevamo ragione, anche a 15 anni. Il nostro mondo sono le relazioni che viviamo, sempre, in ogni tempo ed in ogni luogo. Anche quando la linea d’ombra è varcata, e guardi indietro a quegli anni con un sorriso, e una lacrima.
Voglio fermarmi, questo Natale.
Voglio fermarmi un istante.
Sono accadute molte cose.
Siamo partiti, lasciando a casa qualcosa di ingombrante, e abbiamo avuto il coraggio di tornare.
Ci siamo amati, follemente, ma anche con tenacia, e qualche volta abbiamo dovuto dirci addio.
Abbiamo bevuto due bottiglie di vino, una per il tempo del gioco, l’altra per un’occasione davvero importante. E una terza è rimasta in cantina, perché già sapevamo che presto avremmo avuto motivo di brindare ancora.
Siamo diventati madri e padri, senza mai credere veramente che fosse possibile.
Abbiamo corso a lungo, per uccidere la rabbia, e ci siamo scambiati sguardi d’intesa, che valgono più di tante parole.
Ci siamo fermati a guardare in faccia la paura, fino a quando è stata lei a voltarci le spalle.
Siamo stati capaci di guardarci dentro, ed affrontare noi stessi. E, lì, da quello che abbiamo visto, siamo ripartiti.
Sono accadute molte cose.
E ne accadranno di nuove.
Il nostro sguardo non si può esaurire nello spazio delimitato dai nostri passi. Questo non lo augurerei a nessuno.
Ma non vi auguro nemmeno di volare alto, di attraversare cieli che ci attraggono solo per la loro incommensurabile vastità.
Vi auguro invece di calcare il passo sulla vostra strada, concedendovi di lasciar spaziare lo sguardo oltre l’orizzonte.
In effetti avevamo ragione, anche a 15 anni. Il nostro mondo sono le relazioni che viviamo, sempre, in ogni tempo ed in ogni luogo. Anche quando la linea d’ombra è varcata, e guardi indietro a quegli anni con un sorriso, e una lacrima.
Voglio fermarmi, questo Natale.
Voglio fermarmi un istante.
Sono accadute molte cose.
Siamo partiti, lasciando a casa qualcosa di ingombrante, e abbiamo avuto il coraggio di tornare.
Ci siamo amati, follemente, ma anche con tenacia, e qualche volta abbiamo dovuto dirci addio.
Abbiamo bevuto due bottiglie di vino, una per il tempo del gioco, l’altra per un’occasione davvero importante. E una terza è rimasta in cantina, perché già sapevamo che presto avremmo avuto motivo di brindare ancora.
Siamo diventati madri e padri, senza mai credere veramente che fosse possibile.
Abbiamo corso a lungo, per uccidere la rabbia, e ci siamo scambiati sguardi d’intesa, che valgono più di tante parole.
Ci siamo fermati a guardare in faccia la paura, fino a quando è stata lei a voltarci le spalle.
Siamo stati capaci di guardarci dentro, ed affrontare noi stessi. E, lì, da quello che abbiamo visto, siamo ripartiti.
Sono accadute molte cose.
E ne accadranno di nuove.
Il nostro sguardo non si può esaurire nello spazio delimitato dai nostri passi. Questo non lo augurerei a nessuno.
Ma non vi auguro nemmeno di volare alto, di attraversare cieli che ci attraggono solo per la loro incommensurabile vastità.
Vi auguro invece di calcare il passo sulla vostra strada, concedendovi di lasciar spaziare lo sguardo oltre l’orizzonte.
sabato 8 novembre 2008
vado a lavorare per obama
Ho deciso, signori. Rompo un silenzio durato troppo a lungo, per un annuncio importante.
Mi sono reso conto che Barack Obama ha bisogno di me.
Per questo ieri, ho compilato l'application sul sito preposto. Forse mi ha convinto il post dell'amico Lalù, che ha giustamente smorzato i toni partecipando al dibattito sulla presunta negritù del president-elect. E devo dire che cliccare su "submit form" mi ha anche dato una discreta soddisfazione.
Poi ho pensato che effetto farebbe la stessa cosa qui da noi.
Un bel sito nuovo, di quelli da 20 mln, con il sorrisone di Silvio.
Che gran peccato che qui non sia successo, magari avrei mandato il mio civì anche a lui.
Non che gli yankees si siano sempre distinti per lungimiranza politica. Hanno eletto e rieletto Giorgio, dopo tutto. Ma stavolta, onore al merito.
C'hanno avuto le palle. E si sono scrollati di dosso i fallimenti e le falsità di una pessima amministrazione. Optando per il nuovo.
Yes, they can.
We can't.
lunedì 22 settembre 2008
dreams
C'è sempre un momento in cui ti pare che la linea d'ombra si stia avvicinando.
E' stato un pensiero che mi ha accompagnato, fino a quando, come sempre accade con le cose davvero importanti, mi sono voltato indietro guardando negli occhi il me stesso che ero, la linea d'ombra alle spalle.
Ricordo anche che una paura, la più banale e la più vera, mi attanagliava quando pensavo al momento del passaggio. Avevo paura di cambiare, di iniziare a leggere il mondo con altri schemi, di farmi trascinare da logiche che non avrei scelto.
Così mi sono promesso di lasciare sempre uno spazio, di non negare - almeno non in toto - questa naturale tensione verso il possibile che sentivo far parte di me.
Non smettere di sognare.
Ieri l'altro è stato ripreso in mano un sogno, che, un anno fa, non mi lasciava dormire la notte.
Forse rimarrà tale. Forse no.
Nasce un'alba già invernale, fra poco uscirò di casa e respirerò l'aria frizzante di Trento.
Quel sogno, intanto, è tornato a vivere.
E' stato un pensiero che mi ha accompagnato, fino a quando, come sempre accade con le cose davvero importanti, mi sono voltato indietro guardando negli occhi il me stesso che ero, la linea d'ombra alle spalle.
Ricordo anche che una paura, la più banale e la più vera, mi attanagliava quando pensavo al momento del passaggio. Avevo paura di cambiare, di iniziare a leggere il mondo con altri schemi, di farmi trascinare da logiche che non avrei scelto.
Così mi sono promesso di lasciare sempre uno spazio, di non negare - almeno non in toto - questa naturale tensione verso il possibile che sentivo far parte di me.
Non smettere di sognare.
Ieri l'altro è stato ripreso in mano un sogno, che, un anno fa, non mi lasciava dormire la notte.
Forse rimarrà tale. Forse no.
Nasce un'alba già invernale, fra poco uscirò di casa e respirerò l'aria frizzante di Trento.
Quel sogno, intanto, è tornato a vivere.
mercoledì 17 settembre 2008
settembre (questo)
"Ogni tanto qualcuno si chiude. Ogni volta che ascolto quest'espressione mi viene in mente Giustino Fortunato, che nei primi anni del '900 - per conoscere la situazione dei paesi della dorsale dell'Appennino meridionale - aveva camminato a piedi per mesi, raggiungendoli tutti, soggiornando nelle case dei braccianti, ascoltando le testimonianze dei contadini più rabbiosi, imparando che voce e che odore avesse la questione meridionale. Quando poi era diventato senatore, gli capitava di tornare in questi paesi e chiedeva delle persone che aveva incontrato anni prima, quelle più combattive che avrebbe voluto coinvolgere nei suoi progetti politici di riforma. Spesso però i parenti gli rispondevano: "Quello s'è chiuso!". Chiudersi, diventare silenzioso, quasi muto, ua volontà di scappare dentro di sè e smettere di sapere, di capire, di fare. Smettere di resistere, una scelta di eremitaggio presa un momento prima di sciogliersi nei compromessi nell'esistente."
Non ho trovato parole mie che meglio esprimessero l'atmosfera di questo settembre.
Magari, se siete nella decina di persone che capitano su questa pagina, potreste pensare che questo è un settembre triste, rispetto ai due precedenti. Che il sottoscritto ha abbandonato le proprie tensioni oniriche, che si rifugia in una quotidianità, della cui mediocrità è consapevole, e che si rassegna ad essere ragioniere della continuità.
In realtà, è vero l'opposto.
Certo, non è un settembre facile, non guido nella notte con il vento nei capelli, e la persona amata al mio fianco. Cerco di scrivere questa storia e di esserci, con pazienza e determinazione. Veglio e ascolto. Corro, spesso.
Ma non mi chiudo.
Non ho trovato parole mie che meglio esprimessero l'atmosfera di questo settembre.
Magari, se siete nella decina di persone che capitano su questa pagina, potreste pensare che questo è un settembre triste, rispetto ai due precedenti. Che il sottoscritto ha abbandonato le proprie tensioni oniriche, che si rifugia in una quotidianità, della cui mediocrità è consapevole, e che si rassegna ad essere ragioniere della continuità.
In realtà, è vero l'opposto.
Certo, non è un settembre facile, non guido nella notte con il vento nei capelli, e la persona amata al mio fianco. Cerco di scrivere questa storia e di esserci, con pazienza e determinazione. Veglio e ascolto. Corro, spesso.
Ma non mi chiudo.
martedì 2 settembre 2008
settembre (un paio d'anni fa)
Stamane, alzandomi e gettando un’occhiata fuori dalla finestra, ho subito pensato che quella di oggi sarebbe stata una tipica giornata settembrina, grigia e piovosa. Una di quelle giornate che ti fanno capire senza mezzi termini che l’estate è finita. Settembre. C’è chi dice sia un mese del cazzo, a metà fra la stagione calda che gioca le sue ultime carte e un autunno che non presagisce nulla di buono. Sarà anche vero, ma per uno strano gioco di coincidenze e situazioni, o forse perché settembre – per sua natura - è un mese di bilanci e progetti, a me questo periodo dell’anno ha sempre detto qualcosa. Stamattina ho accompagnato mio fratello a sbrigare le prime pratiche per l’iscrizione all’università, e ripensavo ad un settembre di sei anni fa, quando, con una camicia bianca e poca barba, mi recavo in via balbi a completare gli stessi formulari. Con un po’ di nostalgia ricordavo l’entusiasmo e i timori, le prime lezioni, i primi esami. Lo scorso luglio quel capitolo della mia vita si è chiuso, per lui oggi è incominciato, in una piovosa giornata settembrina. Ripensavo al settembre di Ilaria e a quello di Valentina, e a quello stranissimo 20 settembre di tre anni fa, quando guardavo spaesato fuori dal finestrino di un bus diretto a Galway, fantasticando su quello che mi aspettava e annusando l’aria avido di nuovi odori. Ripensavo a me solo in macchina, un settembre di non so più quanti anni fa, a piangere solo sulle note dei modena, a piangere per cosa, non ricordo. Ripensavo ad una chiacchierata notturna con un amico, seduti sul ciglio della strada, per uccidere la rabbia con un’intesa, sforzandosi di capire, senza mai riuscirci.
Da bambino mi divertivo ad immaginare che le centinaia di auto che vedevo passare tutti i giorni dalla finestra di camera mia fossero tutte in partenza per qualche viaggio meraviglioso. Non concepivo che si prendesse l'autostrada solo per andare al lavoro. Impossibile. Specialmente di notte, quelle sagome che si distinguevano nell'oscurità grazie ai loro fari gialli erano tutte in partenza, e il bello era che io non sapevo dove stessero andando. Era l'idea del viaggio in sè che mi affascinava.
Settembre. Un’altra occhiata fuori dalla finestra, sta ancora piovendo. Mi scopro meno spensierato di qualche settembre fa. Forse, più consapevole. Certamente con la stessa voglia di partire.
Non so a voi, ma a me questa pioggia ha sempre detto qualcosa.
Da bambino mi divertivo ad immaginare che le centinaia di auto che vedevo passare tutti i giorni dalla finestra di camera mia fossero tutte in partenza per qualche viaggio meraviglioso. Non concepivo che si prendesse l'autostrada solo per andare al lavoro. Impossibile. Specialmente di notte, quelle sagome che si distinguevano nell'oscurità grazie ai loro fari gialli erano tutte in partenza, e il bello era che io non sapevo dove stessero andando. Era l'idea del viaggio in sè che mi affascinava.
Settembre. Un’altra occhiata fuori dalla finestra, sta ancora piovendo. Mi scopro meno spensierato di qualche settembre fa. Forse, più consapevole. Certamente con la stessa voglia di partire.
Non so a voi, ma a me questa pioggia ha sempre detto qualcosa.
giovedì 28 agosto 2008
martedì 26 agosto 2008
settembre (un anno fa)
L’anno scorso (due anni fa, ndr), di questi tempi, scrivevo una riflessione che aveva come oggetto proprio questo mese, settembre. Mese di cambiamenti e bilanci, progetti ed aspettative. Dicevo che, a me, questo periodo dell’anno ha sempre detto qualcosa.
Sono tornato, per caso, su quelle parole, ad un mese esatto dalla mia partenza.
E, come spesso mi accade quando ritrovo i segni che ho lasciato sul sentiero, ho sorriso.
Se non altro, questo, per me, non sarà un settembre piovoso. È già una prima differenza, un primo segno della distanza, di una realtà altra. Ho sempre pensato che, per cogliere il senso delle cose, sia necessario ed inevitabile essere capaci di guardarsi indietro. Per capire chi sei, devi guardare a chi ti ha preceduto. E così, per capire dove sei, devi guardare dove sei stato.
E allora ho ripercorso i passi che mi hanno condotto fino qua. Se voglio trovare un inizio, un principio, il primo passo, devo risalire a quasi quattro anni fa, durante una conversazione con don Matteo, quando per la prima volta parlai di turismo responsabile. Lui mi disse che gli pareva una cosa buona. Credo che l’idea prese forma durante i mesi irlandesi, quando ho scoperto, per la prima volta, una dimensione altra del viaggio. L’Irlanda è stata molto importante, per tutto. Tornai con l’idea di provare a percorrere questa strada, visto che, allora, non riuscivo neanche a capire da cosa fossi affascinato. Forse dal desiderio di rendere accessibile quello stato di sospensione estatica che avevo provato, la prima volta, sul bus da Dublino a Galway.
Da allora l’ultimo anno di università, gli esami cercati, la tesi. Decisi di prenderla alla larga, di partire, per parlare del viaggio, da Adamo ed Eva. Ancora una volta, sapersi guardare indietro.
Fondamentali, poi, i silenzi. Ho sempre cercato di coltivare il dubbio, di non concedermi a presunte verità urlate. Non ho verità tonanti. Cerco il mio spazio, amo la bellezza, sono convinto che esista la Verità, ma non la possiedo. Nel dubbio, chino il capo, o almeno tento di farlo. E così l’esigenza di trovare luoghi e tempi per mettere in discussione tutto, per rinnovare le domande, per sentirsi fragili e nudi. E da lì ripartire.
L’anno trentino ha dato gambe a quella che rimaneva, fino a quel momento, un’ambizione romantica. Un anno intenso, ricco di soddisfazioni, ma anche difficile, doloroso.
E poi il Brasile, che ha portato con sé un vento di serenità. Non certo una tranquillità imbecille, quella che finge di dimenticare e tiene lontano. Tutt’altro. La serenità di trovarsi al posto giusto, di aver salutato chi ti ha preceduto e di portare con te un’eredità risplendente, di percepire, nella separazione, il gusto e la gioia dell’incontro. E ancora, il potersi confrontare faccia a faccia con qualcosa che, fino ad ora, avevo solo fantasticato.
Negli ultimi tempi, spesso, mi sono sentito chiedere che cosa andassi a fare in Brasile. In realtà, neanche oggi l’ho spiegato. Ma, forse, vi ho detto qualcosa di più importante.
E qui è tutto un lasciarsi permeare, nella consapevolezza che potrò portare a casa solo immagini, frammenti, che per capire la diversità, per viverla, occorre tutta una vita, e forse neanche.
Solo uno spezzato. Acampamento Olga Benario, MST (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra). Baracche di legno e plastica, a lato della strada federale, a ridosso dei confini della fazenda, della terra per la quale stanno lottando.
Due anni e mezzo di un’esistenza – letteralmente – ai margini.
La strada, una minaccia continua. Già un bambino, l’anno scorso, ha perso la vita. L’acqua, a due chilometri di cammino. La luce, solo quella del sole, che, spesso, brucia.
Due anni e mezzo di attesa paziente, di protesta non violenta, per rivendicare un proprio diritto, il diritto alla terra. Il fazendero, il padrone, probabilmente non ricorda neppure di possederla, in una società dove il latifondismo è ancora la regola, nonostante Lula.
Sabato la comunità farà il passo, varcando i confini della fazenda.
Sabato sarò là, a festeggiare con loro.
Un’altra esperienza che diverrà ricordo.
Ed ecco che, ad un terzo del cammino, mi chiedo dove tutto questo mi porterà.
Naturalmente non ho risposte, e so che, le avessi, sarebbero sbagliate.
Ed è ciò che mi affascina di più.
Sono tornato, per caso, su quelle parole, ad un mese esatto dalla mia partenza.
E, come spesso mi accade quando ritrovo i segni che ho lasciato sul sentiero, ho sorriso.
Se non altro, questo, per me, non sarà un settembre piovoso. È già una prima differenza, un primo segno della distanza, di una realtà altra. Ho sempre pensato che, per cogliere il senso delle cose, sia necessario ed inevitabile essere capaci di guardarsi indietro. Per capire chi sei, devi guardare a chi ti ha preceduto. E così, per capire dove sei, devi guardare dove sei stato.
E allora ho ripercorso i passi che mi hanno condotto fino qua. Se voglio trovare un inizio, un principio, il primo passo, devo risalire a quasi quattro anni fa, durante una conversazione con don Matteo, quando per la prima volta parlai di turismo responsabile. Lui mi disse che gli pareva una cosa buona. Credo che l’idea prese forma durante i mesi irlandesi, quando ho scoperto, per la prima volta, una dimensione altra del viaggio. L’Irlanda è stata molto importante, per tutto. Tornai con l’idea di provare a percorrere questa strada, visto che, allora, non riuscivo neanche a capire da cosa fossi affascinato. Forse dal desiderio di rendere accessibile quello stato di sospensione estatica che avevo provato, la prima volta, sul bus da Dublino a Galway.
Da allora l’ultimo anno di università, gli esami cercati, la tesi. Decisi di prenderla alla larga, di partire, per parlare del viaggio, da Adamo ed Eva. Ancora una volta, sapersi guardare indietro.
Fondamentali, poi, i silenzi. Ho sempre cercato di coltivare il dubbio, di non concedermi a presunte verità urlate. Non ho verità tonanti. Cerco il mio spazio, amo la bellezza, sono convinto che esista la Verità, ma non la possiedo. Nel dubbio, chino il capo, o almeno tento di farlo. E così l’esigenza di trovare luoghi e tempi per mettere in discussione tutto, per rinnovare le domande, per sentirsi fragili e nudi. E da lì ripartire.
L’anno trentino ha dato gambe a quella che rimaneva, fino a quel momento, un’ambizione romantica. Un anno intenso, ricco di soddisfazioni, ma anche difficile, doloroso.
E poi il Brasile, che ha portato con sé un vento di serenità. Non certo una tranquillità imbecille, quella che finge di dimenticare e tiene lontano. Tutt’altro. La serenità di trovarsi al posto giusto, di aver salutato chi ti ha preceduto e di portare con te un’eredità risplendente, di percepire, nella separazione, il gusto e la gioia dell’incontro. E ancora, il potersi confrontare faccia a faccia con qualcosa che, fino ad ora, avevo solo fantasticato.
Negli ultimi tempi, spesso, mi sono sentito chiedere che cosa andassi a fare in Brasile. In realtà, neanche oggi l’ho spiegato. Ma, forse, vi ho detto qualcosa di più importante.
E qui è tutto un lasciarsi permeare, nella consapevolezza che potrò portare a casa solo immagini, frammenti, che per capire la diversità, per viverla, occorre tutta una vita, e forse neanche.
Solo uno spezzato. Acampamento Olga Benario, MST (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra). Baracche di legno e plastica, a lato della strada federale, a ridosso dei confini della fazenda, della terra per la quale stanno lottando.
Due anni e mezzo di un’esistenza – letteralmente – ai margini.
La strada, una minaccia continua. Già un bambino, l’anno scorso, ha perso la vita. L’acqua, a due chilometri di cammino. La luce, solo quella del sole, che, spesso, brucia.
Due anni e mezzo di attesa paziente, di protesta non violenta, per rivendicare un proprio diritto, il diritto alla terra. Il fazendero, il padrone, probabilmente non ricorda neppure di possederla, in una società dove il latifondismo è ancora la regola, nonostante Lula.
Sabato la comunità farà il passo, varcando i confini della fazenda.
Sabato sarò là, a festeggiare con loro.
Un’altra esperienza che diverrà ricordo.
Ed ecco che, ad un terzo del cammino, mi chiedo dove tutto questo mi porterà.
Naturalmente non ho risposte, e so che, le avessi, sarebbero sbagliate.
Ed è ciò che mi affascina di più.
lunedì 14 luglio 2008
i milanesi ammazzano il sabato
martedì 8 luglio 2008
a forza di essere vento
Čvava sero po tute i kerava jek sano ot mori i taha jek jak kon kašta vašu ti baro nebo avi ker. kon ovla so mutavla kon ovla ovla kon aščovi me ğava palan ladi me ğava palan bura ot croiuti.
Poserò la testa sulla tua spalla e farò un sogno di mare e domani un fuoco di legna perché l'aria azzurra diventi casa chi sarà a raccontare chi sarà sarà chi rimane io seguirò questo migrare seguirò questa corrente di ali.
Giorgio Bezzecchi, italiano e sinti, scrisse questi versi per Fabrizio De Andrè. Khorakhanè, da Anime Salve, si chiude con questo canto in lingua rom.
Giorgio Bezzecchi il giorno 6 giugno è stato schedato nel campo di nomadi di Milano-Rogoredo, tra la tangenziale est, la ferrovia e sotto i cavi dell'alta tensione.
"Censimento dei rom", secondo il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi, da dieci giorni super commissario per gli zingari con gli ampi poteri previsti dall'ordinanza della Presidenza del Consiglio pubblicata in Gazzetta il 30 maggio. "Una schedatura umiliante" secondo Giorgio Bezzecchi, 47 anni.
In quel pozzo di piscio e cemento.
A forza di essere vento.
lunedì 12 maggio 2008
buona la prima
Forse il problema vero non sono i contenuti di questo pacchetto sicurezza, definito da Francesco Cossiga "una follia" (dichiarando: "Se lo presenteranno capeggerò non l'opposizione, ma la rivolta"), i contenuti che, a quanto pare, saranno intrisi di malcelata xenofobia. Auspico che le conseguenze reali siano contenute, anche se, da come è partita, ci si può aspettare di tutto.
Il punto, però, credo sia un altro.
Il fatto che, dietro a questo provvedimento, ed altri analoghi, vi sia una menzogna.
La sicurezza NON è una priorità del paese. Non occorre essere dei profeti per rendersene conto.
Assistiamo ad una meschina strategia finalizzata a dare risalto a qualcosa che, oggettivamente, non merita tutta questa attenzione.
Concentriamoci su altro, grazie.
venerdì 2 maggio 2008
otherside
Io l'ho sempre pensata così, la Chiesa, come uno spazio.
Uno spazio libero, dove ci si possa sentire liberi di ridere, se è il caso, o piangere, se ne sentisse la necessità.
Uno spazio di speranza, speranza fondata su una verità incompresa, non dominata. Amata, forse, cercata, senz'altro. Ma non posseduta. "Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto."
Dolcezza e rispetto, già.
Uno spazio libero, dove ci si possa sentire liberi di ridere, se è il caso, o piangere, se ne sentisse la necessità.
Uno spazio di speranza, speranza fondata su una verità incompresa, non dominata. Amata, forse, cercata, senz'altro. Ma non posseduta. "Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto."
Dolcezza e rispetto, già.
Sono triste che la Chiesa Vaticana sià così distante da tutto questo.
Ma sono felice che esistano spazi così. Dimore di Dio fra gli uomini. www.dominustecum.it
martedì 22 aprile 2008
Help
"Il nuovo governo prenderà provvedimenti rigorosi sugli immigrati neo-comunitari e valuterà l’opportunità di rinegoziare le regole con l’Ue che, se non è in grado di rispondere alle esigenze di sicurezza dei cittadini su questo punto, è un’Unione a perdere, non a vincere, e fallirà". Lo ha detto Roberto Maroni, intervistato da Radio City su Radio Rai Uno. "Non escludo - ha spiegato l'esponente del carroccio - una consultazione con la Commissione europea perché non possiamo accettare di essere il ricettacolo di coloro che escono dalle galere" dei Paesi nuovi membri dell’Unione e arrivano in Italia perchè è la terra del Bengodi. Non può essere così e assicuro che non sarà così".
Fonte: Lega Nord Padania per l'Indipendenza della Padania, ovvero http://www.leganord.org/, ovvero sito ufficiale del partito politico noto come Lega Nord, ovvero terza forza parlamentare della Repubblica Italiana, ovvero coloro che desiderano separarsi al più presto dalla giustappunt' citata Repubblica, come apertamente dichiarato nella tag del proprio sito. Pare vi sia contraddizione in tutto questo, ma, fidatevi, non vi è.
venerdì 18 aprile 2008
La (neppure troppo) strana coppia
Benedetto XVI accolto da Bush, Insieme in difesa della vita, recita il titolo dell'articolotto pubblicato su Repubblica, da cui ho preso la foto. Devo dire che questi due insieme mi piacciono proprio. Una coppia felice e vincente. Sarà colpa del libro che ho trovato stamane sul tavolino in salotto, Contro natura, una lettera al Papa, chiaro attentato alla mia cosciuenza di un qualche nonmeglioidentificato anticlericalissimo coinquilino? O forse questa mia (non spensierata) analisi critica ha pure a che fare con il clima di profonda crisi politica e morale a cui i nostri concittadini sembrano tenere tanto? Oppure perchè, in fondo, nutro ancora una timida speranza che la voce del Vicario di Cristo si rivolga, una buona volta, alla samaritana al pozzo, e auspico che le coscienze di qualche illuminato cattolico si risveglino, avanzando un pacifico e determinato dissenso, quando ciò non accade. E invece mi tocca leggere che il Pontefice ha chiesto al popolo americano di trovare nella propria fede religiosa un criterio di "discernimento e di ispirazione" di fronte alle sempre "più complesse questioni politiche ed etiche". Leggi: votate repubblicano. Andiamo bene.
martedì 15 aprile 2008
Una vittoria culturale
"Daremo all'Italia questa nuova forza del 40 per cento, che credo sarà la protagonista della storia politica italiana nei prossimi decenni. Questo è il grande sogno che ho realizzato, il grande obiettivo cui ho teso nei 14 anni che mi hanno visto passare da imprenditore a uomo della politica al servizio dello Stato".
Ha ragione, il neoletto premier. Il suo grande obiettivo è stato raggiunto. E non parla del terzo governo Berlusconi. La sua vittoria va ben al di là dei numeri, dei seggi e dei ministri.
La vittoria di Berlusconi è una vittoria culturale.
Vince non un partito, ma un modo di intendere la politica.
Vince uno che afferma che i mafiosi sono eroi, che dice di non pagare le tasse, che parla di calciatori, che mette in ridicolo l'Italia in una seduta del Parlamento Europeo, dando del nazista ad un deputato tedesco. Se ne parlava poco fa con un amico, il berlusconismo non è più un fenomeno di passaggio. I giovani che ieri e domenica hanno votato per la prima volta, cresceranno credendo normale tutto questo.
La nostra non è semplicemente una crisi politica. Non avremo soltanto problemi di devastazione dei conti pubblici, o quel cinghiale di Calderoli ministro di nonsoccheccazzo.
La nostra è una crisi etica e morale.
Il popolo non dovrebbe temere il proprio governo, sono i governi che dovrebbero temere il popolo.
V for Vendetta
sabato 22 marzo 2008
giovedì 20 marzo 2008
San Patrisssio
giovedì 13 marzo 2008
my way back to Trentoland
Non ricordo di aver preso il treno da Genova, l'anno scorso, davvero felice di tornare a Trento. Nemmeno una volta. Ci ripensavo oggi, giocando a pingpong in un parco, in questo pomeriggio che parla di primavera.
Un anno bello, lo scorso, ma un anno difficile. Di certo non un anno sereno. Questa volta è diverso. Il luogo non è cambiato, è cambiato il mio stato d'animo, sono un po' cambiato io. E credo che siano alcuni recenti incontri a fare la differenza.
Uno, in particolare.
Un anno bello, lo scorso, ma un anno difficile. Di certo non un anno sereno. Questa volta è diverso. Il luogo non è cambiato, è cambiato il mio stato d'animo, sono un po' cambiato io. E credo che siano alcuni recenti incontri a fare la differenza.
Uno, in particolare.
giovedì 6 marzo 2008
perchè non sia come prima
Quando uscivi dalla porta sul retro di quella casa, da un lato trovavi un abbeveratoio di pietra in mezzo alle erbacce. C’era un tubo zincato che scendeva dal tetto e l’abbeveratoio era quasi sempre pieno, e mi ricordo che una volta mi fermai lì, mi accovacciai, lo guardai e mi misi a pensare. Non so da quanto tempo stava lì. Cento anni. Duecento. Sulla pietra si vedevano le tracce dello scalpello. Era scavato nella pietra dura, lungo quasi due metri, largo suppergiù mezzo e profondo altrettanto. Scavato nella pietra a colpi di scalpello. E mi misi a pensare all’uomo che l’aveva fabbricato. Quel paese non aveva mai avuto periodi di pace particolarmente lunghi, a quanto ne sapevo io. Dopo di allora ho letto un po’ di libri di storia e mi sa che di periodi di pace non en ha avuto proprio nessuno. Ma quell’uomo si era messo lì con una mazza e uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio di pietra che sarebbe potuto durare diecimila anni. Di certo non credeva che non sarebbe mai cambiato nulla. Uno potrebbe anche pensare questo. Ma secondo me non poteva essere così ingenuo. Ci ho riflettuto tanto. Ci riflettei anche dopo essermene andato da lì quando la casa era ridotta a un mucchio di macerie. E ve lo dico, secondo me quell’abbeveratoio è ancora lì. Ci voleva ben altro per spostarlo, ve lo assicuro. E allora penso a quel tizio seduto lì con la mazza e lo scalpello, magari un paio d’ore dopo cena, non lo so. E devo dire che l’unica cosa che mi viene da pensare è che quell’uomo aveva una promessa nel cuore. E io non ho certo intenzione di mettermi a scavare un abbeveratoio di pietra.
Ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promessa.
Ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promessa.
mercoledì 5 marzo 2008
non c'è bene
Non posso che esprimere solidarietà con quanto pubblicato dall'amico Zanarcade, sul suo spazio http://husker.splinder.com/. Mi viene in mente un altro amico che, qualche tempo fa, scriveva: "non ci sono soluzioni se non palliativi che rimandano a domande che ripropongono l´illusione di risposte perfettibili; il mondo non ci chiede di svelare l´illusione ma di scovare quel piccolo antro di perfettibilità".
Lavoro per costruire la mia promessa, il pozzo di pietra che, spero, possa durare.
Vero è che, a volte, ciò che accade attorno ti scoraggia.
Caro Diego, non posso dirti molto.
Soltanto,
forza.
Lavoro per costruire la mia promessa, il pozzo di pietra che, spero, possa durare.
Vero è che, a volte, ciò che accade attorno ti scoraggia.
Caro Diego, non posso dirti molto.
Soltanto,
forza.
venerdì 29 febbraio 2008
sembra come prima
Tortona è una città silenziosa.
Non che la stazione ferroviaria di una piccola cittadina, alle cinque e mezzo di un sabato pomeriggio (uno a caso, quello che volete voi), sia, per antonomasia, un luogo particolarmente rumoroso. Questo no. Nè, tantomeno, mi sarei aspettato di incontrare un Tralfamadoriano, sul binario. E infatti non è accaduto.
Ma il silenzio, quello c'era. O, meglio, trattandosi di un'assenza, di una negazione (di rumore, ndr), affermare la sua esistenza è forse erroneo. In ogni caso, tutto ciò era assolutamente percepibile.
Ho poi preso il treno, verso Genova. Ho sonnecchiato, durante il viaggio, lasciandomi cullare dal ritmico sobbalzare del convoglio, e dal pensiero dei recenti avvenimenti.
Giunto in stazione, le mie azioni hanno iniziato a susseguirsi secondo un rituale ben collaudato, scontato e familiare. Tutto sembrava come prima. La scala, il sottopassaggio, il biglietto, un sorriso alla signora dell'edicola, sempre scontrosa, come la ricordavo dagli anni dell'università. Sono stato tentato di uscire da Principe, verso via Balbi, verso il bar con la tenda rossa, la mia piccola casa del caffè. Non riuscivo a spiegarmi questo desiderio irrazionale. Anche se ne avevo ben chiara la motivazione profonda. Volevo controllare se il bar stava ancora lì, al suo posto. Non ho avuto tempo di farlo, ma l'ho desiderato.
Sono salito sul locale, verso casa, e io non lo sapevo, ma ho sorriso, tutto il tempo.
Non me l'ha detto un Tralfamadoriano. L'ho capito dopo.
Tutto sembra come prima.
Sembra, appunto.
Sorrido, ancora.
Non che la stazione ferroviaria di una piccola cittadina, alle cinque e mezzo di un sabato pomeriggio (uno a caso, quello che volete voi), sia, per antonomasia, un luogo particolarmente rumoroso. Questo no. Nè, tantomeno, mi sarei aspettato di incontrare un Tralfamadoriano, sul binario. E infatti non è accaduto.
Ma il silenzio, quello c'era. O, meglio, trattandosi di un'assenza, di una negazione (di rumore, ndr), affermare la sua esistenza è forse erroneo. In ogni caso, tutto ciò era assolutamente percepibile.
Ho poi preso il treno, verso Genova. Ho sonnecchiato, durante il viaggio, lasciandomi cullare dal ritmico sobbalzare del convoglio, e dal pensiero dei recenti avvenimenti.
Giunto in stazione, le mie azioni hanno iniziato a susseguirsi secondo un rituale ben collaudato, scontato e familiare. Tutto sembrava come prima. La scala, il sottopassaggio, il biglietto, un sorriso alla signora dell'edicola, sempre scontrosa, come la ricordavo dagli anni dell'università. Sono stato tentato di uscire da Principe, verso via Balbi, verso il bar con la tenda rossa, la mia piccola casa del caffè. Non riuscivo a spiegarmi questo desiderio irrazionale. Anche se ne avevo ben chiara la motivazione profonda. Volevo controllare se il bar stava ancora lì, al suo posto. Non ho avuto tempo di farlo, ma l'ho desiderato.
Sono salito sul locale, verso casa, e io non lo sapevo, ma ho sorriso, tutto il tempo.
Non me l'ha detto un Tralfamadoriano. L'ho capito dopo.
Tutto sembra come prima.
Sembra, appunto.
Sorrido, ancora.
martedì 26 febbraio 2008
old fashioned mixtapes
Many years ago before iPod playlists the art of mixtape was much more complicated... for a start it was done on cassette so it took about 3 hours to do a 90 minute mix and you had to get all the records out first and sequence them before you started.
A lot of love went into every hissing tune that was hand picked for whoever you were making the tape for. Normally it was made for a potential sexual partner to tell them you had the hots for them and to impress them with your musical taste. Or a musical buddy who you were trying to educate.
giovedì 21 febbraio 2008
Le Ong e il mercato turistico
I progetti di turismo sostenibile nel sud del mondo, ad oggi, sono molto legati a realtà associative, e nascono poggiandosi su episodi, storie, espedienti, con un approccio essenzialmente volontaristico. Anche questo progetto è nato da una storia, la storia della Pousada Tremembè e dell’associazione Tremembè Onlus. Se la creazione dell’offerta e del prodotto in loco segue questa logica, lo stesso discorso vale per il marketing e la commercializzazione di prodotti di turismo sostenibile o responsabile. Ad oggi, in Italia, esiste qualche operatore specializzato in questi prodotti, ma la penetrazione nel mercato turistico nazionale è irrisoria (2400 persone all’anno). Inoltre questi operatori che sposano l’etica del turismo responsabile, tracciano itinerari nei paesi in via di sviluppo, anche in Brasile, e certamente, nel fare ciò, adottano un approccio ineccepibile, valorizzando la cultura locale, rispettando l’ambiente e ad appoggiandosi a strutture ricettive gestite da locali. Ma occorre chiedersi se questa dinamica possa davvero innescare processi di sviluppo locale in queste comunità. Il problema è che le destinazioni turistiche commercializzate dal turismo responsabile non hanno alcuna visibilità. Le località sono proposte negli itinerari, ma si può affermare che questi pochi operatori detengano il monopolio degli arrivi turistici, che si fermano a cifre quasi ridicole. Lo sviluppo portato dal turismo deve essere sostenibile, ma deve anche essere sviluppo. È perciò fondamentale che le comunità che partecipano del progetto si organizzino in un ente trasversale che, oltre che ad essere uno strumento di governance, oltre che creare coesione e motivazione, sia un vero e proprio sistema integrato d’offerta. È necessario che la rete disponga di un tour operator di incoming che gestisca i flussi in arrivo e implementi strategie di marketing e comunicazione, ovvero quello che le singole comunità non possono fare, per carenza di competenze e di risorse.
Troppo spesso i progetti di turismo sostenibile nel Sud del mondo si fermano davanti ad una barriera, un circolo vizioso che impedisce lo sviluppo turistico e, di conseguenza, socioeconomico di queste aree. Una (legittima) ansia etica fa sí che queste belle idee rimangano tali. I promotori di queste azioni di cooperazione cadono cosí in una pesante (e spesso ignorata) contraddizione: che vantaggio possono trarre le comunitá se il progetto non é economicamente sostenibile, se i benefici si rivelano essere nulli?
È necessario trovare un punto di incontro, raggiungere una convivenza armonica tra il turismo e l’ambiente fisico e socioecomico delle comunità. L’equilibro fra utilizzo e conservazione delle attrattive e delle risorse di interesse turistico, ambientali o etnografiche.
Perché il turismo sostenibile sia senza dubbio sostenibile, ma sia soprattutto turismo.
mercoledì 20 febbraio 2008
Solaria Jonica
Un'esperienza enologica, una storia emozionante, che sapeva di una terra, la Puglia, che sento anche un po' mia.
Sabato sono stato in una cantina piemontese, vicino a Novara, un posto di per sè triste, ma colorato da una ricchezza inaspettata. Antonio Ferrari, enologo, commerciante e produttore di vini, uomo d'altri tempi. A raccontarci la sua storia, è la figlia. La storia di un uomo la cui vita si è intrecciata con quella di filari distanti mille chilometri, affacciati sullo Ionio. Mentre parliamo degustiamo vini vecchi di cinquant'anni, disegnati dal suo estro d'artista, fino a sentire in bocca il gusto del suo capolavoro, il Solaria Jonica, Primitivo annata 1959.
La storia del Solaria è una di quelle che non si dimenticano.
Antonio incomincia a fare i suoi vini da giovanissimo, quando capisce, o intuisce, di avere un talento da enologo, cresciuto in una famiglia di operai. Ma Antonio non è un imprenditore. Costruisce i suoi vini, sceglie le viti, assaggia l'uva quando è ancora acerba, e chiunque altro vi riconoscerebbe soltanto un gusto aspro ed acido.
E così compone le sue opere d'arte.
Non compra mai la terra, gli piace che a prendersi cura dei filari siano i contadini del posto. Paga sempre in anticipo, anche quando non sa ancora se riuscirà a piazzare il vino, piuttosto si indebita, ma non manca mai.
E' il 1959 l'anno del capolavoro. Antonio capisce che quell'estate nasconde la promessa di qualcosa di unico. Anni dopo si saprà che fu la più calda del secolo. Antonio non poteva saperlo, naturalmente. Ma lo capì.
Aspetta a cogliere l'uva, fino all'inizio di ottobre, nonostante rischi che tutto sia rovinato da un rovescio autunnale. Fa caldissimo il giorno che decide finalmente di vendemmiare, la terrazza sullo Ionio ribolle alla luce accecante del sole.
Torna a Novara con un tir pieno d'uva, e un sogno nel cuore. Fin dall'inizio, il suo progetto è chiaro. Quest'uva non si tocca, almeno per dieci anni. Vuole dimostrare che le uve di primitivo, sottovalutate, usate in piemonte per tagliare i vini locali, sono in grado, sole, di produrre qualcosa di grande. Per mesi la fermentazione è vulcanica, Antonio passa notti intere in cantina, a raffreddare le botti con sacchi bagnati. Taglia e allunga il vino, per non farlo sbordare, ma sempre soltanto con lo stesso mosto.
Dieci anni dopo, con la stessa semplicità di una decisione scontata, Antonio rimanda l'imbottigliatura di altre dieci lune, quando tutto era già pronto. E la scena si ripete, a distanza di anni, e solo nel 2000 il Solaria Jonica vede la luce, quasi contro la volontà del suo creatore, e subito diviene storia.
La storia del Solaria è una di quelle che non si dimenticano.
Antonio incomincia a fare i suoi vini da giovanissimo, quando capisce, o intuisce, di avere un talento da enologo, cresciuto in una famiglia di operai. Ma Antonio non è un imprenditore. Costruisce i suoi vini, sceglie le viti, assaggia l'uva quando è ancora acerba, e chiunque altro vi riconoscerebbe soltanto un gusto aspro ed acido.
E così compone le sue opere d'arte.
Non compra mai la terra, gli piace che a prendersi cura dei filari siano i contadini del posto. Paga sempre in anticipo, anche quando non sa ancora se riuscirà a piazzare il vino, piuttosto si indebita, ma non manca mai.
E' il 1959 l'anno del capolavoro. Antonio capisce che quell'estate nasconde la promessa di qualcosa di unico. Anni dopo si saprà che fu la più calda del secolo. Antonio non poteva saperlo, naturalmente. Ma lo capì.
Aspetta a cogliere l'uva, fino all'inizio di ottobre, nonostante rischi che tutto sia rovinato da un rovescio autunnale. Fa caldissimo il giorno che decide finalmente di vendemmiare, la terrazza sullo Ionio ribolle alla luce accecante del sole.
Torna a Novara con un tir pieno d'uva, e un sogno nel cuore. Fin dall'inizio, il suo progetto è chiaro. Quest'uva non si tocca, almeno per dieci anni. Vuole dimostrare che le uve di primitivo, sottovalutate, usate in piemonte per tagliare i vini locali, sono in grado, sole, di produrre qualcosa di grande. Per mesi la fermentazione è vulcanica, Antonio passa notti intere in cantina, a raffreddare le botti con sacchi bagnati. Taglia e allunga il vino, per non farlo sbordare, ma sempre soltanto con lo stesso mosto.
Dieci anni dopo, con la stessa semplicità di una decisione scontata, Antonio rimanda l'imbottigliatura di altre dieci lune, quando tutto era già pronto. E la scena si ripete, a distanza di anni, e solo nel 2000 il Solaria Jonica vede la luce, quasi contro la volontà del suo creatore, e subito diviene storia.
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